Il saggio propone una rassegna dei problemi metodologici che ogni studio scientifico della religione deve affrontare, basandosi su venticinque anni passati a indagare le moderne trasformazioni religiose e il vacillante rapporto tra scienza e fede nella cosiddetta "età secolare". Il punto di partenza del ragionamento è il carattere esistenzialmente saliente della "religione" e le sue implicazioni in termini di "rispetto". Ha senso, cioè, sostenere che, poiché rappresenta ancora una dimensione cruciale nell'identità personale di un numero consistente di persone nel mondo d'oggi, la religione meriti lo stesso tipo di rispetto che oggi riserviamo alla "razza" o al "genere"? E, se le cose stanno così, quali sono le implicazioni metodologiche di un tale riconoscimento? Per rispondere a queste domande, vengono discusse tre questioni interconnesse: (a) se la storia del disincanto del mondo non sia proprio ciò che serve per creare la distanza necessaria a rendere epistemologicamente innocua la centralità esistenziale della religione; (b) se non abbiamo già un metodo affidabile per raggiungere questo obiettivo; (c) se la natura speciale della religione non riguardi tanto la disputa tra fede e ragione quanto il problema dei confini dello spazio delle ragioni e la difficile questione se abbia o meno senso immaginare un limite "esterno" al pensiero umano.

Studiare la religione senza balaustre: un bilancio in chiaroscuro

Costa P.
2023-01-01

Abstract

Il saggio propone una rassegna dei problemi metodologici che ogni studio scientifico della religione deve affrontare, basandosi su venticinque anni passati a indagare le moderne trasformazioni religiose e il vacillante rapporto tra scienza e fede nella cosiddetta "età secolare". Il punto di partenza del ragionamento è il carattere esistenzialmente saliente della "religione" e le sue implicazioni in termini di "rispetto". Ha senso, cioè, sostenere che, poiché rappresenta ancora una dimensione cruciale nell'identità personale di un numero consistente di persone nel mondo d'oggi, la religione meriti lo stesso tipo di rispetto che oggi riserviamo alla "razza" o al "genere"? E, se le cose stanno così, quali sono le implicazioni metodologiche di un tale riconoscimento? Per rispondere a queste domande, vengono discusse tre questioni interconnesse: (a) se la storia del disincanto del mondo non sia proprio ciò che serve per creare la distanza necessaria a rendere epistemologicamente innocua la centralità esistenziale della religione; (b) se non abbiamo già un metodo affidabile per raggiungere questo obiettivo; (c) se la natura speciale della religione non riguardi tanto la disputa tra fede e ragione quanto il problema dei confini dello spazio delle ragioni e la difficile questione se abbia o meno senso immaginare un limite "esterno" al pensiero umano.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11582/342568
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