È ragionevole supporre che il motivo per cui molte persone oggi ricorrono volentieri a un vocabolo desueto come «spiritualità» per descrivere un loro bisogno se non primario, esistenzialmente assai significativo, sia di tipo contrastivo. È probabile, cioè, che quando pensano alla spiritualità immaginino qualcosa che sta loro molto a cuore, sebbene rimanga, per altri versi, ai margini della loro vita quotidiana e della forma di vita a cui appartengono, di cui hanno una concezione forse vaga teoricamente, ma molto precisa da un punto di vista pratico. Per evocare la teoria delle multiple realities di Alfred Schutz, se il lavoro, i soldi, i contatti costituiscono nella loro vita pubblica la paramount reality, «spiritualità» è allora l’etichetta sotto cui riconducono spontaneamente tutto ciò che non quadra con questa gerarchia di valori, diciamo così, «diurna». È noto che per una quota significativa di persone anche la «religione» – o meglio le istituzioni religiose tradizionali – rientra oggi a pieno diritto nella «paramount reality», rappresenta cioè un elemento prosaico e non eccentrico nella loro vita. Per questo la nozione di «spiritualità atea o secolare» non suona alle loro orecchie come un ossimoro. Nel saggio utilizzo come caso di studio la condizione degli «aspiranti montanari», il cui numero è in continua crescita in Italia (e non solo), per provare a capire se possa essere fatta rientrare almeno parzialmente nel novero delle «spiritualità atee». Per disegnare il profilo di questa spiritualità secolare mi servo in particolare del concetto di «risonanza», elaborato dal sociologo tedesco Hartmut Rosa e da lui utilizzato come strumento teorico idoneo per fare emergere i modelli innovativi di vita buona che vengono sistematicamente generati anche nella società dell’accelerazione e della saturazione. In conclusione viene introdotta la categoria di «essenzialità» per spiegare il fascino che gli ambienti alpini esercitano su molte persone che appartengono al gruppo composito dei «laici spirituali».
Il problema della spiritualità atea. Questioni di metodo e di contenuto
Costa P.
2025-01-01
Abstract
È ragionevole supporre che il motivo per cui molte persone oggi ricorrono volentieri a un vocabolo desueto come «spiritualità» per descrivere un loro bisogno se non primario, esistenzialmente assai significativo, sia di tipo contrastivo. È probabile, cioè, che quando pensano alla spiritualità immaginino qualcosa che sta loro molto a cuore, sebbene rimanga, per altri versi, ai margini della loro vita quotidiana e della forma di vita a cui appartengono, di cui hanno una concezione forse vaga teoricamente, ma molto precisa da un punto di vista pratico. Per evocare la teoria delle multiple realities di Alfred Schutz, se il lavoro, i soldi, i contatti costituiscono nella loro vita pubblica la paramount reality, «spiritualità» è allora l’etichetta sotto cui riconducono spontaneamente tutto ciò che non quadra con questa gerarchia di valori, diciamo così, «diurna». È noto che per una quota significativa di persone anche la «religione» – o meglio le istituzioni religiose tradizionali – rientra oggi a pieno diritto nella «paramount reality», rappresenta cioè un elemento prosaico e non eccentrico nella loro vita. Per questo la nozione di «spiritualità atea o secolare» non suona alle loro orecchie come un ossimoro. Nel saggio utilizzo come caso di studio la condizione degli «aspiranti montanari», il cui numero è in continua crescita in Italia (e non solo), per provare a capire se possa essere fatta rientrare almeno parzialmente nel novero delle «spiritualità atee». Per disegnare il profilo di questa spiritualità secolare mi servo in particolare del concetto di «risonanza», elaborato dal sociologo tedesco Hartmut Rosa e da lui utilizzato come strumento teorico idoneo per fare emergere i modelli innovativi di vita buona che vengono sistematicamente generati anche nella società dell’accelerazione e della saturazione. In conclusione viene introdotta la categoria di «essenzialità» per spiegare il fascino che gli ambienti alpini esercitano su molte persone che appartengono al gruppo composito dei «laici spirituali».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
